Il Metodo Feldenkrais non è terapia, ma arte di guarigione naturale.
"L'arte non può cambiare il mondo, ma può contribuire a cambiare la coscienza e le pulsioni degli uomini e delle donne che potrebbero cambiare il mondo.”
H. Marcuse, La dimensione estetica, 1978
È arte ‘oggettiva’,
non viene colta razionalmente dal soggetto, raggiunge direttamente il nostro Sé e ci trasporta nell’Innocenza creativa, lo stato in cui la Coscienza superiore genera guarigione. Le definizioni possono essere diverse, ma si tratta di una realtà fondamentale che in questa sede si può solo tratteggiare.
Attraverso il Metodo il corpo invia messaggi direttamente alla coscienza. In questo modo la mente, che ha un compito rigidamente conservativo e contrasta in diversi modi e forme ogni novità positiva, viene momentaneamente bypassata e zittita; mentre pensieri ed emozioni si placano, noi entriamo in uno stato di consapevolezza e riceviamo un aumento di lucidità e forza con cui possiamo poi imparare a gestire nuova coscienza e nuova salute, stabilizzandoci sempre più nel centro di equilibrio che è il nostro Sé. Lo stesso accade in ogni processo creativo, quando ci troviamo in quello stato armonico, che io riconosco come Flow.
Questo avviene perché il Metodo è un preciso stile di movimento profondo, nato dalle molteplici intuizioni creative di un genio scientifico, che ha condiviso con i suoi pari le scoperte straordinarie dell’epoca, e attraverso le sue elevate doti interiori ne ha fatto un capolavoro.
Sempre tratto da Weiner, sulle lezioni individuali, alla domanda di Margaret Mead “come lo fai?”, Moshe Feldenkrais risponde
“Quando vedo una persona, so come dovrebbe essere, come dovrebbe apparire. Vedo la persona perfetta. Quando ti vedo, so come tu sei e come dovresti essere tutto insieme in una sola cosa. Ma come tu dovresti essere è proprio lì … e così semplicemente mi metto al lavoro con le mie tecniche e provo questo e quest’altro. Non è molto ben strutturato. Non importa veramente se inizio col ditino del piede, o con un orecchio, o con il collo… fino a che arrivo a far assomigliare la persona a quello che penso dovrebbe essere, ed io so esattamente come dovrebbe apparire”.
Martin Weiner, Aesthetic Consciousness in Functional Integration, The Feldenkrais Journal N. 7, Winter 1992
L’autore commenta in più punti del suo saggio
“Io affermerei qui che quel “vedere” nel quale Moshe si impegnava, era una capacità estetica portata ad un elevato sviluppo; molto vicina alla coscienza di un artista che guarda una tela o un blocco di marmo man mano che porta a manifestarsi la forma che essi contengono.
[…] Ciò suggerisce che un insegnante è un “visionario”: vede il potenziale contenuto nel particolare e mantiene quella visione con una tale potenza da riuscire a portarlo in essere. Vi è un profondo effetto sull’allievo o, possiamo dire su chiunque, quando ci focalizziamo sul portare in luce le sue capacità potenziali piuttosto che occuparci di farne sparire la patologia.” (Ivi)
e prosegue con questo brano molto bello e ricco di meravigliata reverenzialità verso il maestro, in cui si evidenzia quel particolare stato all’interno del Flusso di coscienza che promuove l’attuazione delle possibilità
“Il motivo per cui l’osservarlo lavorare dava la sensazione di essere presenti a un avvenimento sacro, è perché lo era.
Il suo lavoro non era l’applicazione di una tecnica meccanica, ma un dispiegarsi, una rivelazione, una creazione che si verificava in un regno di consapevolezza al di fuori del tempo e antecedente a qualsiasi giudizio. Egli prestava uno spazio d’attenzione e consapevolezza in cui lui e l’altra persona diventavano una cosa sola, e da questo campo unificato di consapevolezza emergeva per ciascuno dei due una nuova possibilità. Per dirla semplicemente, egli creava uno spazio sacro, e in questo portentoso luogo di presenza si verificava il prodigio.” (Ibidem)
Per quanto si attagli perfettamente al contesto delle lezioni individuali, non è solo la scultura a rappresentare quel che un insegnante, e lo intendo nel suo senso più ampio, può incarnare come artista della maieutica. In realtà ogni educatore possiede uno specifico talento attraverso cui legge sé stesso e gli allievi, e aggiunge strumenti ad un percorso che è sempre scambio, per la crescita di tutti
“Imparare non consiste nell'addestrare la propria forza di volontà, ma nell'acquisire la capacità di inibire le azioni parassite che ostacolano il processo e di fare emergere le motivazioni chiare che derivano dalla conoscenza di se stessi.” (Feldenkrais, 1981)
da Mara Della Pergola, Il metodo Feldenkrais® di consapevolezza attraverso il movimento, un approccio neuro-senso-motorio e sistemico, Riflessioni Sistemiche - N° 16 giugno 2017
Nella pratica, dal punto di vista della logica dell’Arte, vivere un talento significa lavorare sul proprio mentale inferiore, sui suoi giudizi e pregiudizi, per arrivare a subordinarlo alle necessità della libertà di espressione. È un duro lavoro composito che riguarda ogni artista o insegnante nel suo genere. Infatti Feldenkrais scrive
“Ci sono insegnanti senza i quali il mondo sarebbe ancora meno allegro di com’è. Sfortunatamente sono troppo pochi; è più facile vincere alla lotteria che averne uno come guida.”
Moshe Feldenkrais
La nota amara che cogliamo in questa affermazione è una prerogativa di chi possiede genio, quella cinica e triste cognizione, detta forse con eleganza e gentilezza, ma senza alcuna indulgenza né per sé né per il mondo com’è, sebbene nel suo caso sempre congiunta ad intelligente ironia e ad un grande amore per la vita. Questo tipo di lettura dello stato delle cose è un bene, perché la chiara coscienza di ciò che è il male ci aiuta nella direzione. Il maestro infatti era un ‘frattale di Cosmo’, dove ogni opposto è contenuto in equilibrio.
Negli anni ho incontrato molte persone di talento e qualcuna certamente geniale, a livelli differenti e negli ambiti più disparati sia sociali che lavorativi. Ma che io abbia potuto cogliere c’è stato un solo genio, poiché non ho avuto la fortuna di incontrare Moshe Feldenkrais. Ma chi può dirlo, difficile saper vedere.
Anche in chi non si esprime, c’è sempre almeno un talento e un pizzico di genialità da coltivare.
Mi soffermo su queste definizioni, che in genere vengono legate ad un mondo artistico a sé stante, perché la vita ‘bidimensionale’ cui siamo abituati ci nasconde la Bellezza che è in noi.
È invece urgente riconoscercela, e ricordarla in ogni momento per poterla vivere come il respirare.
Il Metodo porta soprattutto a questo, mentre ci fa sentire fisicamente meglio, ci offre la chiave della nostra creatività, quel punto di genialità e talento che aspetta solo di essere espresso e che ci guarisce.
Ed ecco in breve, secondo la mia esperienza, la forza che non vediamo in noi e negli altri.
Accade spesso che qualcuno tra noi venga ostacolato nella vita da forze interne ed esterne, perciò i segnali possono essere nascosti, ma se impariamo a guardare, piano piano compare lo spettacolo. Ispirazione…
I talentuosi li si riconosce per un certo carisma, per la brillantezza delle specifiche caratteristiche del talento che portano, talvolta persino improduttivo per il pensiero comune ma fondamentale per il mondo, come l’ascoltare, il cucinare, l’abbracciare, il raccontare o ancor più, il saper essere presenti. C’è anche un talento importante che non è semplice da riconoscere, l’essere capaci di silenzio attivo…
I geniali, la loro vita è un crogiuolo e una fucina, si percepiscono come sostanza nello spazio in cui si trovano, poi si mostrano nell’intento, inflessibile anche in mezzo a dure prove, e nell’azione senza indugio nel portare in essere qualunque tipo di bellezza, in ogni ambito si esprimano.
Il genio è un’apparizione, ha tutte le caratteristiche del geniale e spesso più difficili da portare, ma non può farne a meno, la sua vita è tradurre in esistenza qualcosa di universale che ancora non c’è, sempre fondamentale per l’evoluzione, inedita, appena sfornata dai piani superiori, attinta direttamente dal ‘Campo di tutte le possibilità’.
Nel genio non c’è incoerenza, anche quando a noi pare follia. La sua creazione va oltre lo spazio e il tempo, un dono dell’Assoluto a sé stesso, di cui cade una scintilla sul genere umano e si propaga all’Infinito. Come dice l’antico Libro dei mutamenti ‘I King’ nella traduzione del Wilhelm
“(Egli) Non serve né re né principi. Si pone mete più elevate.
Non lavora per un dato momento, ma per l’universo e per tutti i tempi.”
I King, Astrolabio ed.